Sindrome di Down, un caso di supporto educativo
Tizia è una madre separata, suo figlio Mevio è affetto da Sindrome di Down. Per il bene del suo ragazzo, la donna ha deciso di iscriverlo a un istituto privato, scelto per via di metodi e corpo docente in grado di fornire un supporto educativo specifico per persone affette da tale patologia. Il problema è che il padre del ragazzo si è opposto al pagamento della sua quota per la retta.
Per i figli non si bada a spese, si sa. Soprattutto, quando si tratta di una famiglia abbiente non dovrebbe nemmeno porsi la domanda. Almeno è questo che deve aver pensato Tizia, madre di Mevio, affetto da Sindrome di Down, quando ha deciso di iscriverlo a un istituto privato, specializzato per un supporto educativo specifico.
Insomma, metodi, strumenti e docenti specialisti in tema di persone portatrici di Sindrome di Down sono sembrati a Tizia la soluzione migliore per suo figlio Mevio. Il problema non era certamente finanziario, trattandosi di due genitori in ottime condizioni economiche.
Caio, padre di Mevio, ha però contestato la decisione della ex consorte. In particolare, si è detto contrario alla scelta di iscrivere il ragazzo a un istituto privato. Di conseguenza, ha deciso di non pagare la sua quota parte costringendo Tizia ad avviare un contenzioso.
Il giudice ha valutato la situazione e ha sentenziato una condanna per il padre, stabilendo il rimborso delle rette scolastiche in favore della madre: la scelta materna, infatti, è stata presa tenendo conto di molteplici circostanze, tutte dirette a soddisfare il primario interesse del figlio.
La scuola era l’unica in zona a garantire un certo supporto educativo al minore, essendo dotata di educatori con preparazione specifica. La famiglia, inoltre, molto benestante, era perfettamente in grado di sostenere la retta mensile dell’istituto, che la madre chiedeva fosse rimborsata solo per metà, facendosi, dunque, carico dell’onere economico e dimostrando che la scelta era stata compiuta tenendo conto esclusivamente delle necessità del figlio, anche a discapito delle minori capacità economiche materne rispetto a quelle del marito.
Il ruolo dell’avvocato, in questa fattispecie, si è sostanziato in una figura orientata alla risoluzione consensuale della vicenda.